Le origini del piccolo borgo risalgono al periodo aragonese, epoca in cui una colonia di slavi diede vita all’abitato con una progressiva fusione con la popolazione locale. Il paese non ha conservato, come altri nella Regione, usi e costumi dei suoi avi ma si è adeguato a quelli regionali.
CASALE DI TABENNA
Il suo primo nome fu “Casal Tavenna“, poi si chiamò “Casale di Tabenna”; in lingua slava era “Tàvela”. Le prime notizie storiche risalgono al 1354 e attestano che da quell’anno fino all’eversione feudale ebbe gli stessi titolari e seguì le stesse vicende storiche di Palata; Tavenna si pensa fosse caratterizzata da molteplici casali difusi sul territorio. Sulle falde di Montelateglia (anticamente, in latino, “Mons Ytiliae“), rotonda collina situata nei pressi di Tavenna, nella parte a nord del paese, vi era una Cappella denominata ” Santa Maria in Basilica”. Il sito è stato certamente abitato prima di Tavenna ed è luogo carico di storia. Sul posto probabilmente era collocato un insediamento di certo rilievo già in epoca osco-sannita.
Durante il papato di Leone III, a Montelateglia vi fondarono un monastero i benedettini, i quali vi arrivarono nel periodo 795-816 forse da Montecassino. I monaci edificarono un’abbazia e tanti altri mini conventi, che erano abitati dai monaci. Successivamente, nel XI secolo, i benedettini vi ebbero a costruire, forse perchè il precedente era stato distrutto da un terremoto, un nuovo monastero, il quale anche nel corso del secolo successivo costituì un importante punto di riferimento ed un notevole faro di aggregazione religiosa e civile per tutta la zona. Comunque, l’insediamento di Montelateglia nei secoli seguenti perse, anche se con gradualità, il fasto antico e deperì fino ad essere ridotto a poco più che un semplice villaggio; nel secolo XV rimase completamente disabitato a causa forse, dei terremoti e, soprattutto, della peste molto frequente in quel periodo. Tavenna fu concessa dal demanio in feudo alla famiglia Ionata che conservò il comune fino al 1506. In seguito il feudo al controllo di Giovanni Orsini che, in ogni modo, si vide confiscati tutti i beni dal viceré di Napoli Filiberto di Challons.